Flavio Nicolini

Ritratto di Giulio un pò sghembo, che parte da un vocabolo inventato, nato in sogno, una parola improbabile che io ho usato da qualche parte e che lui avrebbe preso in considerazione, curioso com’era di suoni e giochetti.
Si sa che un nome può arrivare dal nulla, prende posto nella mente e prima o poi bisogna usarlo. Il problema é su chi collaudarlo.
Mi sono accorto poco tempo fa che Giulio sarebbe stato l’amico ideale al quale chiedere il favore di pronunciare per me alcune parole che mi assillavano, suoni davvero improbabili e inconsistenti.
La parola in questione é “sgurlì”. Potrebbe darsi che esista in qualche dialetto romagnolo, ma io non voglio saperlo, adesso.
Lo dico a Giulio e lui mi ascolta un poco perplesso, me la fa ripetere. Poi si mette a pronunciarla in tonalità musicali diverse: si bemolle, fa maggiore, do…Infine, gingillandovisi intorno come sopra le corde del suo violoncello, osserva cautamente che “sgurlì” é termine per clarino, meno adatto per uno strumento a corde. E per dimostrarmi il suo interesse mi fa un elenco di parole consonanti, pronuncia vocaboli di radice uguale: sgudébal, sgulmanèd, sguéll, sgumitlè… lo gli dico: “sgurlì” te lo traduco prima di tutto con “tenerezza”; oppure, sentimento affetto, perfino dignità Lui subito chiede licenza per un pizzico di ironia: “sgurlì” significa cagnolino spaventato da un cane grosso, ragazza biricchina, il gatto di Federico nell’orto. Poi, con impercettibile contrazione della nuca magra e sottile, e con un segno della mano, cita due o tre personaggi del paese e uno di Rimini: “sgurlì”, in qualche modo, tutti per lui. Si vede benissimo che gli piace il suono della parola, che sta facendola sua e che, d’ora in poi, si metterà ad usarla anche lui. Nella sua ironia improbabile la parola “sgurlì” si carica di storia inventata, diventa usuale: può partire. Lui l’ha affidata ormai alle acque chete dei suoi umori giocherelloni come una barchetta di carta. È anche accettabile l’idea che non te la restituirà interamente. La userà, come per chiederti scusa, quando ti mostrerà il suo prossimo quadro, recitandola con timidezza, pudore e dignità: “sgurlì”, appunto.

Bimba dal nastro azzurro - 49x33 1977

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A proposito delle parole. Pur amandole, Giulio ne era angustiato. Sapeva che dipingere vuoi dire dipingere. Ma si aggrappava spaventato e intimorito alla fatiscente gloria dei discorsi altrui, credendo che anche per un pittore il segreto del ben dipingere stesse nel dire con appropriate parole cosa sia il segreto di fare un quadro. Naturalmente aveva torto. Se n’è andato lasciandomi il rammarico di non avergli potuto assicurare che c’è solo un modo di dipingere: dipingendo.
Ma non avrebbe mai dipinto cose cattive e malvagie: una lucertola schiacciata, un bue squartato, un uomo con l’anima nevrotica a fior di pelle. Per lui un’idea poetica intorno al nostro mondo insicuro e cinico poteva esprimersi come tristezza, solitudine, malinconia; e cioè: un poco di ruggine su strutture di ferro, un ombrello solitario su una donna solitaria che prende luce immobile dal sole. L’angoscia di Giulio non era mai deformazione e crepacuore.
Nelle vie e nelle piazzette del paese c’è sempre il reticolo di itinerari che Giulio ha lasciato dietro di sè durante le sue passeggiate notturne. Lui era la figura secca che attraversava in diagonale la Piazza Grande per salire con un amico verso le stradine delle Contrade. Rideva al buio con pacatezza e pochissimo rumore, provocandosi due profonde parentesi agli angoli della bocca.
Ho pensato spesso che respirasse da quei due tagli, come i pesci in fondo al mare, per non turbare il silenzio dell’aria e dei muri dentro i quali dormivano quelli che lui conosceva uno per uno, o a famiglie intere; i pochi rimasti nelle vecchie case, e i nuovi arrivati dal sud e dalla campagna. Ma non ha mai detto a nessuno che andava in cima al colle, fra via Massani, la via Cupa e il Pozzo Lungo per fiutare l’aria che arriva fredda da BeIlaria, da Igea Marina, i due arenili che dipingeva al passato remoto, inesistenti e perduti ormai come tutti i possibili significati di “sgurlì”: affetti, dignità sollecitudine, pietà..