Introduzione alla Mostra

La Mostra dedicata a Giulio Turci, la prima per ampiezza di documentazione dalla scomparsa dell’artista santarcangiolese, apre un nuovo settore di attività del! ‘Associazione Sigismondo Malatesta. Nata nel l988 per iniziativa di un gruppo di studiosi appartenenti a diverse università italiane, l ‘Associazione Sigismondo Malatesta è un’istituzione privata che, nell’ambito delle scienze umane e delle scienze sociali, raccoglie attorno ai suoi progetti culturali studiosi appartenenti alla comunità scientifica non soltanto italiana. E’ proprio in questa prospettiva più ampia che intendiamo presentare alcuni dei quadri più belli di Giulio Turci, la figura di maggiore spicco nella cultura figurativa romagnala della seconda metà del secolo scorso, ed è con grande piacere che li esponiamo nel suo luogo natio, Santarcangelo di Romagna, nelle sale della Rocca Malatestiana, sede dell’Associazione.
Marina Colonna
Presidente dell’Associazione Sigismondo Malatesta

Nel Novecento la cultura romagnala sembra aver eletto Santarcangelo di Romagna a luogo privilegiato della sua produzione. L’atmosfera e il paesaggio santarcangiolese hanno alimentato la ricerca e il linguaggio di critici e poeti. Qui hanno radici e trovano originali valori espressivi il sapere, filologico di Augusto Campana, la vena poetica di Raffaello Baldini, di Tonino Guerra, di Nino Pedretti, di Gianni Fucci, tutte esperienze intellettuali tra le più decisive e creative della cultura romagnala del Novecento, in questo straordinario mondo di cultura, una nicchia del tutto singolare spetta a Giulio Turci, anch’egli partecipe della forza di attrazione e di irradiazione culturale che sulla Romagna Santarcangelo ha esercitato. Da qui i suoi dipinti trovano sollecitazione e sensibilità. Da qui la nascita di un progetto creativo che, nella frequentazione costante di memorie e di paesaggi nativi, diviene patrimonio culturale di tutta la Romagna. Accogliere a Ravenna, in Classense, le opere e i disegni di Giulio Turci, oltre ad essere un omaggio all’artista sensibile, raffinato, tanto attento al paesaggio vissuto delle marine romagnale, vuole costituire un apporto importante alla conoscenza artistica della Romagna del Novecento. La Classense – che, come affermava Augusto Campana, nella sua storia secolare è stata ed è un punto d ‘incrocio essenziale della conservazione e della divulgazione della cultura non solo di Ravenna ma di tutta la Romagna – è ben lieta di poter testimoniare questa sua valenza bibliografica collaborando ad una mostra che si annuncia come un viaggio visivo e documentario nella storia recente di Romagna.
Donatino Domini
Direttore della Biblioteca Classense

I sentieri di Giulio

Mi accade sempre più spesso di smarrire improvvisamente oggetti inutili o di poco conto, come l ‘avanzo della gomma da cancellare, il fazzoletto a fiori acquistato in un negozietto di montagna tanto tempo fa, o la catenina d ‘argento, regalo di un ‘amica ormai lontana. Minimizzo quindi l ‘accaduto pensando che da qualche parte saranno e che prima o poi salteranno fuori. Senza rendermene conto ricomincio prima una distratta ricerca, poi un ‘ostinata perlustrazione nei luoghi più improbabili: nel fondo dell’ultimo cassetto del tavolo, nella borsa ormai fuori uso, e conservata per ricordare di volta in volta qualcos’altro.
Quegli oggetti diventano sempre più indispensabili, sempre più importanti e preziosi: senza quel fazzoletto sicuramente non potrò ripararmi dal vento e mi ammalerò, quella piccola gomma è l ‘unica che sa cancellare tutti gli errori senza lasciare il minimo segno sulla carta, e quel braccialettino è la catena che continua a tenermi vicina alle memorie più lontane.
Non potrò mai separarmi da tutto questo, penso, ma arriva inaspettato il sogno della notte, quando, quasi nel dormiveglia, vedo che tutto quello che mi circonda svanisce silenziosamente come in una morbida danza, e lascio che ogni cosa si allontani senza porre ostacoli, senza cercare di afferrarla.
Mi sento meglio allora, sono più leggera, come mi accadeva in alcune notti d’inverno quando Giulio, mio padre, rincasava dalla sua passeggiata solitaria per i vicoli stretti e sassosi del vecchio borgo, attorno all’alta mura che nasconde i secolari tronchi della bosco.
Si fermava qualche minuto a fiutare l’aria lassù, nel punto in cui il profumno del mare si unisce alla fragranza della quercia.
Socchiudeva gli occhi verso l’orizzonte come un gabbiano; la notte era fredda ma non c’erano nubi né temporali in arrivo, e dalla mia stanza sentivo le note del suo violoncello che mi cullavano.
Spesso il risveglio aveva la neve su ogni tetto del vecchio paese.
Miresa Turci